Descrizione
Perché visitare Ilbono
Al centro del paese sorge la chiesa parrocchiale intitolata a San Giovanni Battista, costruita nel XVII su un precedente edificio probabilmente romanico, mentre la chiesa di San Cristoforo, da cui si gode una visuale panoramica su tutto il paese, fu eretta tra il XVII e il XVIII secolo. Di interesse sono, però, anche le due chiese campestri intitolate a San Rocco e San Pietro.
Nelle campagne di Ilbono si trova un’interessante area archeologica suggestivamente integrata con l’ambiente naturale, su un torrione granitico parzialmente circondato dal fiume Tèscere. A Scerì sorge un nuraghe complesso in blocchi di granito, circondato da un villaggio. Non lontano, entro due mastodontici massi erratici di granito, vennero scavate due domus de janas di tipo monocellulare.
Comune collinare che affonda le sue origini nella preistoria; la sua economia ha affiancato alle tradizionali attività agricole e zootecniche una discreta produzione industriale. Gli ilbonesi, che presentano un indice di vecchiaia inferiore alla media, vivono per la maggior parte nel capoluogo comunale; il resto della popolazione si distribuisce in case sparse. Il territorio ha un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate, che vanno da un minimo di 40 a un massimo di 900 metri sul livello del mare. L’abitato, interessato da espansione edilizia, si adagia su una collina ed è circondato da vasti vigneti e uliveti, da cui si gode un bellissimo panorama sulla zona costiera dell’Ogliastra. Nello stemma comunale, concesso con Decreto del Presidente della Repubblica, sono raffigurate, su sfondo azzurro e su una verde campagna erbosa, quattro caprette d’oro, accompagnate da cinque pecore d’argento. Il tutto è sovrastato da due grappoli d’uva posti nei cantoni del capo: l’uno è dorato, l’altro è purpureo.
Situata nella parte sud-orientale della provincia, nell’entroterra costiero, sull’altopiano dell’Ogliastra, confina con i comuni di Elini, Arzana, l’isola amministrativa Monte Bonghi, appartenente a quest’ultimo comune, Tortolì, Bari Sardo, Loceri e Lanusei. È facilmente raggiungibile dalla strada statale n. 198 di Seui e Lanusei, il cui tracciato ne attraversa il territorio. Dista, invece, 66 km dalla stazione ferroviaria di riferimento, posta sulla linea Nuoro-Macomer. Il collegamento aereo, per i voli nazionali e internazionali, è assicurato dall’aeroporto situato a 129 km; quello di Roma/Fiumicino è utilizzato per le linee intercontinentali dirette. Il porto mercantile e turistico è a 133 km. Inserita nell’ambito territoriale della Comunità montana “Ogliastra”, gravita su Lanusei per i servizi e le esigenze burocratico-amministrative.
Territorio
Coordinate 39°54′N 9°33′E
Altitudine 400 m s.l.m.
Superficie 31,13 km²
Abitanti 2 204 (31-8-2017)
Densità 70,8 ab./km²
È sede di Pro Loco e di stazione dei carabinieri. Il settore primario è presente con la coltivazione di cereali, frumento, ortaggi, foraggi, ulivi, agrumeti, viti e altri alberi da frutta. Si pratica, inoltre, l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini e avicoli. L’industria, discretamente sviluppata, è costituita da imprese che operano nei settori alimentare, della lavorazione del legno, dei materiali da costruzione, dei laterizi, della fabbricazione di mobili ed edile. Interessante è l’artigianato, specializzato nella produzione di ceramiche, pizzi e ricami eseguiti con “su vrevolitè”, antico attrezzo sardo. Il terziario non assume dimensioni rilevanti: la rete distributiva, di cui si compone, assicura il soddisfacimento delle esigenze primarie della comunità, ma non sono forniti servizi più qualificati, come quello bancario. Per il sociale, lo sport e il tempo libero mancano strutture di una certa rilevanza. Oltre le scuole dell’obbligo è possibile frequentare il corso di laurea in informatica; per l’arricchimento culturale è presente la biblioteca civica. Le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione ma non di soggiorno. Il servizio sanitario è assicurato a livello farmaceutico.
Storia
Il toponimo, di probabile origine prelatina, è attestato, dal 1341, con le forme “Ibbonu” e “Ilbono”.
Nella dizione locale si presenta come “irbono”. Il suo insediamento fu abitato sin dall’età preistorica. In epoca medievale venne compresa nella curatoria dell’Ogliastra, nel Giudicato di Cagliari. Successivamente passò sotto il dominio dei Visconti e, più tardi ancora, nelle mani dei giudici di Gallura. Dopo essere stata ceduta in feudo a Berengario Carroz fu incorporata nella contea di Quirra; in quel periodo appartenne ai Centelles e agli Osorio de la Cueva. La sua storia successiva non mostra avvenimenti di particolare rilievo.
Tra le vestigia del passato figurano: le domus de janas di Tescere, Murta Bestia, Praidas; i nuraghi di Tedili, Sartalai, Perucciu, Salassu, Matalè e Scerì; due insoliti documenti dell’antichità (congedi militari di soldati che avevano militato nella flotta romana, uno dei quali rilasciato tra l’anno 80 e il 95 dall’Imperatore Domiziano e l’altro nel 127 dall’Imperatore Traiano a un certo Caio Fusio, gregario della flotta con sede a Ravenna); la parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, con all’interno la statua della Madonna Delle Grazie e la cassa in cui questa venne ritrovata, secondo la leggenda, sulla spiaggia di Cea e portata in paese su un carro trainato da buoi; l’antichissima Piazza di Funtana de Idda; le chiese campestri di San Rocco e di San Pietro; la chiesetta di San Cristoforo (protettore dei pellegrini), che sovrasta il paese, risalente al XVII secolo.
Il paleolitico in Ogliastra (20.000 – 7.000 a.C.) Le prime testimonianze della presenza dell’uomo in Sardegna risalgono al paleolitico inferiore, rinvenuto per la prima volta negli anni ottanta nel territorio di comuni dell’Anglona. Non esistono documentazioni certe riguardo all’esistenza umana nel paleolitico in Ogliastra, ma alcune caverne di tale periodo fanno pensare alla sua presenza. Il neolitico e le sue testimonianze (dal 6.000 – 1.800 a.C.) Per quanto concerne il periodo prenuragico, allo stato attuale sembrano mancare nel territorio di Ilbono tracce riferibili alle culture più antiche del neolitico.
Le tradizioni: il costume tipico
Il costume femminile Una distinzione nel costume femminile era legata al ceto sociale delle persone. Infatti, quelle benestanti usavano un copricapo, “sa mantilla”, in panno rosso bordata di pizzo o nastro di colore diverso, di dimensioni e forme varie. Le persone appartenenti a ceti sociali più modesti, mettevano “su colore”, anche questo in panno rosso, rettangolare col bordo nero: era abbellito da un soggolo in argento lavorato come una catena, tenuta da “is gàncius”. Questi due copricapi erano usati per le occasioni importanti come le feste e i matrimoni; per la quotidianità invece si indossava, come ancora oggi “su panniggeddu” e per andare in chiesa “su sciallu”. Quest’ultimo poteva essere in seta (per le occasioni importanti) o in lana pregiata (Tibet) e ambedue abbelliti dalle frange. Rivedendoli oggi colpisce l’eleganza di questi due capi, sia i colori nero e viola che la finezza del tessuto e l’originalità della spilla in filigrana d’oro -“s’agulla”- che serviva da fermascialle.
Costume – dettaglio
C’è poi la camicia bianca, di cotone, indumento ricco e appariscente, infatti, è ricamata a mano con vari punti: punto oliva, il punto erba, lo “sfilato”, il punto inglese, il punto pieno e ad intaglio, solitamente è rifinita in pizzo. La camicia viene agganciata da dei bottoni detti “is butones de oro”. Sopra la camicia d’estate si indossava “su cosso” un bolero in seta operata guarnito da passamaneria multicolore, sostituito d’inverno da “su corpetto” sempre in seta ma a maniche lunghe. Col tempo questi due capi sono stati sostituiti nella quotidianità da “su gipone”, un indumento meno importante e più pratico. La gonna, “sa fardeta”, è lunga, pieghettata, solitamente con l’orlo impunturato e abbellito da un nastro con vari disegni. Sotto la gonna è indossata una sottogonna detta “su suntanu”, solitamente in cotone ricamato. Sopra invece si mette un grembiule nero, anch’esso ricamato, con tre pieghe orizzontali a balze, detto “s’antalena”.
Oggi il costume tradizionale si indossa solo in occasione di grandi feste popolari.